L’eco di un amore immenso e il grido di tutte le madri

“Fa male vedere una madre, dignitosa e spezzata dal dolore, chiedere giustizia per un figlio che lo Stato ha consumato giorno dopo giorno, con la sua indifferenza, con il suo silenzio complice. Umberto non è morto solo per mano della sua disperazione, ma per mano di un sistema che lo ha ignorato, umiliato, logorato, fino a spegnerlo del tutto.
Chi è vessato non è fragile, è semplicemente una persona corretta, educata, che fa il proprio dovere senza scendere a compromessi. In un contesto lavorativo malato, come in una classe dove gli studenti bulli prendono di mira il più serio, il più silenzioso, il più rispettoso delle regole, accade lo stesso. Non è la fragilità a rendere vittima qualcuno, ma il fatto che quella persona, proprio per il suo modo di essere limpido e coerente, diventa scomoda. Umberto era esattamente questo: un uomo che credeva nella divisa, nel dovere, nel rispetto. Per questo è stato preso di mira.
Ed è inquietante, davvero, che sia stato un detenuto a difenderlo, mentre i colleghi — quelli che si definiscono “persone perbene” — hanno preferito il silenzio. È scioccante constatare come la gerarchia abbia fallito su tutta la linea, come non abbia funzionato nessun meccanismo di tutela. Penoso è sapere che Umberto ha affrontato cinque visite psichiatriche e in nessuna è stato riscontrato alcun disturbo. Perché il problema non era dentro di lui, il problema era il sistema stesso, marcio e indifferente, che lo ha schiacciato e, alla fine, gli ha messo in mano l’arma con cui togliersi la vita.
Non ci sono giustificazioni. È come se fossimo finiti nelle mani del male, e quel male si manifesta attraverso l’apatia, l’omertà, il potere usato per distruggere anziché proteggere. Sì, è come se Satana avesse messo radici dove invece dovrebbero esserci giustizia, umanità e solidarietà. Umberto è stato lasciato solo, e ora la sua storia deve gridare forte, per lui e per tutti quelli che oggi vivono lo stesso inferno, con addosso una divisa e nel cuore solo silenzio.
Mamma Rosanna non chiede vendetta, chiede verità. Chiede che venga riconosciuto ciò che è accaduto davvero: che il figlio non era fragile, ma forte e onesto in un ambiente che punisce l’integrità. E questo fa ancora più male. Perché chi avrebbe dovuto proteggerlo, sostenerlo, difenderlo, ha preferito voltarsi dall’altra parte.
Dietro ogni parola di Rosanna c’è l’eco di un amore immenso e il grido di tutte le madri che hanno visto i propri figli crollare sotto il peso dell’ingiustizia. E oggi il minimo che possiamo fare è ascoltare, denunciare, e stare accanto a lei. Perché il dolore di Rosanna non resti un’ombra nel vuoto, ma diventi una luce che smascheri un sistema che non può più permettersi di uccidere in silenzio”.